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CANTO DECIMONONO. 257

XLI.


     Ov’è, Signor, la tua virtute antica?
(Disse il Soldan tutto cruccioso allora)
Tolgaci i regni pur sorte nemica;
324Chè ’l regal pregio è nostro, e in noi dimora.
Ma colà dentro omai dalla fatica
Le stanche e gravi tue membra ristora.
Così gli parla; e fa che si raccoglia
328Il vecchio Re nella guardata soglia.

XLII.


     Egli ferrata mazza a due man prende,
E si ripon la fida spada al fianco.
E stassi al varco intrepido, e difende
332Il chiuso delle strade al popol Franco.
Eran mortali le percosse orrende:
Quella che non uccide, atterra almanco.
Già fugge ogn’un dalla sbarrata piazza,
336Dove appressar vede l’orribil mazza.

XLIII.


     Ecco, da fera compagnia seguíto,
Sopraggiungeva il Tolosan Raimondo.
Al periglioso passo il vecchio ardito
340Corse, e sprezzò di quei gran colpi il pondo.
Primo ei ferì; ma invano ebbe ferito:
Non ferì invano il feritor secondo;
Chè in fronte il colse, e l’atterrò col peso
344Supin, tremante, a braccia aperte, e steso.