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CANTO DECIMONONO. | 255 |
XXXV.
Qual lupo predatore all’aer bruno
Le chiuse mandre insidiando aggira,
Secco l’avide fauci, e nel digiuno
276Da nativo odio stimolato e d’ira;
Tale egli intorno spia s’adito alcuno
(Piano od erto che siasi) aprirsi mira.
Si ferma alfin nella gran piazza: e d’alto
280Stanno aspettando i miseri l’assalto.
XXXVI.
In disparte giacea (qual che si fosse
L’uso a cui si serbava) eccelsa trave:
Nè così alte mai, nè così grosse
284Spiega l’antenne sue Ligura nave.
Ver la gran porta il Cavalier la mosse
Con quella man, cui nessun pondo è grave:
E recandosi lei di lancia in modo,
288Urtò d’incontro impetuoso e sodo.
XXXVII.
Restar non può marmo o metallo innanti
Al duro urtare, al riurtar più forte.
Svelse dal sasso i cardini sonanti:
292Ruppe i serraglj, ed abbattè le porte.
Non l’ariete di far più si vanti;
Non la bombarda fulmine di morte.
Per la dischiusa via la gente inonda,
296Quasi un diluvio, e ’l vincitor seconda.