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CANTO DECIMOTTAVO. | 235 |
LXXXIII.
Passa il Buglion vittorioso avanti,
E già le mura d’occupar si crede;
Ma fiamme allora fetide e fumanti
660Lanciarsi incontra immantinente ei vede.
Nè dal sulfureo sen fochi mai tanti
Il cavernoso Mongibel fuor diede:
Nè mai cotanti, negli estivi ardori,
664Piove l’Indico Ciel caldi vapori.
LXXXIV.
Quì vasi, e cerchj, ed aste ardenti sono:
Qual fiamma nera, e qual sanguigna splende.
L’odore appuzza, assorda il rombo e ’l tuono,
668Accieca il fumo, il foco arde e s’apprende.
L’umido cuojo alfin saria mal buono
Schermo alla torre: appena or la difende.
Già suda, e si rincrespa, e se più tarda
672Il soccorso del Ciel, convien pur ch’arda.
LXXXV.
Il magnanimo Duce innanzi a tutti
Stassi, e non muta nè color nè loco:
E quei conforta che su’ cuoj asciutti
676Versan l’onde apprestate incontra al foco.
In tale stato eran costor ridutti:
E già dell’acque rimanea lor poco.
Quando ecco un vento, ch’improvviso spira,
680Contra gli autori suoi l’incendio gira.