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230 | LA GERUSALEMME |
LXVIII.
Incominciaro a saettar gli arcieri,
Infette di veleno, arme mortali:
Ed adombrato il Ciel par che s’anneri
540Sotto un immenso nuvolo di strali.
Ma con forza maggior colpi più feri
Ne venian dalle machine murali.
Indi gran palle uscian marmoree e gravi,
544E con punta d’acciar ferrate travi.
LXIX.
Par fulmine ogni sasso, e così trita
L’armatura e le membra a chi n’è colto,
Che gli toglie non pur l’alma e la vita,
548Ma la forma del corpo anco e del volto.
Non si ferma la lancia alla ferita:
Dopo il colpo del corso avanza molto:
Entra da un lato, e fuor per l’altro passa
552Fuggendo, e nel fuggir la morte lassa.
LXX.
Ma non togliea però dalla difesa
Tanto furor le Saracine genti.
Contra quelle percosse avean già tesa
556Pieghevol tela, e cose altre cedenti.
L’impeto, che in lor cade, ivi contesa
Non trova, e vien che vi si fiacchi e lenti:
Essi, ove miran più la calca esposta,
560Fan con l’arme volanti aspra risposta.