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CANTO DECIMOTTAVO. | 213 |
XVII.
Il bel candor della mutata vesta
Egli medesmo riguardando ammira.
Poscia verso l’antica alta foresta
132Con sicura baldanza i passi gira.
Era là giunto ove i men forti arresta
Solo il terror che di sua vista spira.
Pur nè spiacente a lui, nè pauroso
136Il bosco par, ma lietamente ombroso.
XVIII.
Passa più oltre, ed ode un suono intanto
Che dolcissimamente si diffonde.
Vi sente d’un ruscello il roco pianto,
140E ’l sospirar dell’aura infra le fronde:
E di musico cigno il flebil canto,
E l’usignol che plora, e gli risponde:
Organi, e cetre, e voci umane in rime.
144Tanti e sì fatti suoni un suono esprime!
XIX.
Il Cavalier (pur come agli altri avviene)
N’attendeva un gran tuon d’alto spavento.
E v’ode poi di Ninfe, e di Sirene,
148D’aure, d’acque, e d’augei dolce concento.
Onde, maravigliando, il piè ritiene,
E poi sen va tutto sospeso e lento:
E fra via non ritrova altro divieto
152Che quel d’un fiume trasparente e cheto.