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CANTO DECIMOTTAVO. 211

XI.


     Così il consiglia; e ’l Cavalier s’appresta,
Desiando e sperando, all’alta impresa.
Passa pensoso il dì, pensosa e mesta
84La notte: e pria che in Ciel sia l’alba accesa,
Le belle arme si cinge, e sopravvesta
Nova, ed estrania di color s’ha presa:
E tutto solo, e tacito, e pedone
88Lascia i compagni, e lascia il padiglione.

XII.


     Era nella stagion che anco non cede
Libero ogni confin la notte al giorno;
Ma l’Oriente rosseggiar si vede,
92Ed anco è il Ciel d’alcuna stella adorno;
Quando ei drizzò ver l’Oliveto il piede,
Con gli occhj alzati contemplando intorno
Quinci notturne e quindi mattutine
96Bellezze incorruttibili e divine.

XIII.


     Fra se stesso pensava: o quante belle
Luci il tempio celeste in se raguna!
Ha il suo gran carro il dì: l’aurate stelle
100Spiega la notte, e l’argentata Luna;
Ma non è chi vagheggi o questa o quelle:
E miriam noi torbida luce e bruna,
Ch’un girar d’occhj, un balenar di riso
104Scopre in breve confin il fragil viso.