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202 | LA GERUSALEMME |
LXXXVI.
Taciti se ne gían per l’aria nera;
Quando al Garzon si volge il Vecchio, e dice:
Veduto hai tu della tua stirpe altera
684I rami, e la vetusta alta radice.
E sebben ella dell’età primiera
Stata è fertil d’eroi madre, e felice;
Non è, nè fia di partorir mai stanca;
688Chè per vecchiezza in lei virtù non manca.
LXXXVII.
Oh, come tratto ho fuor del fosco seno
Dell’età prisca i primi padri ignoti;
Così potessi ancor scoprire appieno
692Ne’ secoli avvenire i tuoi nipoti!
E pria ch’essi apran gli occhj al bel sereno
Di questa luce, fargli al mondo noti;
Chè de’ futuri eroi già non vedresti
696L’ordin men lungo, o pur men chiari i gesti.
LXXXVIII.
Ma l’arte mia per se dentro al futuro
Non scorge il ver, che troppo occulto giace,
Se non caliginoso e dubbio e scuro,
700Quasi lunge per nebbia incerta face.
E se cosa qual certo io m’assicuro
Affermarti, non sono in questo audace;
Ch’io l’intesi da tal che, senza velo,
704I secreti talor scopre del Cielo.