Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
192 | LA GERUSALEMME |
LVI.
Quinci i tre cavalier sul lido spose,
E sparve in men che non si forma un detto.
Sorgea la notte intanto, e delle cose
444Confondea i varj aspetti un solo aspetto.
E in quelle solitudini arenose
Essi veder non ponno o muro o tetto:
Nè d’uomo, o di destriero appajon l’orme;
448Od altro pur, che del cammin gl’informe.
LVII.
Poi che stati sospesi alquanto foro,
Mossero i passi, e dier le spalle al mare:
Ed ecco di lontano agli occhj loro
452Un non so che di luminoso appare,
Che con raggj d’argento e lampi d’oro
La notte illustra, e fa l’ombre più rare.
Essi ne vanno allor contra la luce:
456E già veggion chè sia quel che sì luce.
LVIII.
Veggiono a un grosso tronco armi novelle,
Incontra i raggj della Luna, appese:
E fiammeggiar, più che nel Ciel le stelle,
460Gemme nell’elmo aurato e nell’arnese:
E scoprono a quel lume immagin belle
Nel grande scudo in lungo ordine stese.
Presso, quasi custode, un vecchio siede,
464Che contra lor sen va, come gli vede.