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182 LA GERUSALEMME

XXVI.


     Nè te, Altamoro, entro al pudíco letto
Potuto ha ritener la sposa amata.
Pianse, percosse il biondo crine e ’l petto
204Per distornar la tua fatale andata.
Dunque, dicea, crudel, più che ’l mio aspetto
Del mar l’orrida faccia a te fia grata?
Fian l’arme al braccio tuo più caro peso,
208Che ’l picciol figlio ai dolci scherzi inteso?

XXVII.


     È questi il Re di Sarmacante; e ’l manco
Che in lui si pregi è il libero diadema:
Così dotto è nell’arme, e così franco
212Ardir congiunge a gagliardia suprema!
Saprallo ben (l’annunzio) il popol Franco:
Ed è ragion che insino ad or ne tema.
I suoi guerrieri indosso han la corazza,
216La spada al fianco, ed all’arcion la mazza.

XXVIII.


     Ecco poi, fin dagl’Indi e dall’albergo
Dell’aurora, venuto Adrasto il fero:
Che d’un serpente indosso ha per usbergo
220Il cuojo verde, e maculato a nero:
E smisurato a un elefante il tergo
Preme così, come si suol destriero.
Gente guida costui di qua dal Gange,
224Che si lava nel mar che l’Indo frange.