Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
CANTO DECIMOSESTO. | 171 |
LXXI.
Calca le nubi, e tratta l’aure a volo,
Cinta di nembi, e turbini sonori;
Passa i lidi soggetti all’altro Polo,
564E le terre d’ignoti abitatori;
Passa d’Alcide i termini, nè ’l suolo
Appressa degli Esperj, o quel de’ Mori;
Ma su i mari sospeso il corso tiene,
568Insin che ai lidi di Soria perviene.
LXXII.
Quinci a Damasco non s’invia, ma schiva
Il già sì caro della patria aspetto,
E drizza il carro all’infeconda riva,
572Ove è tra l’onde il suo castello eretto.
Qui giunta, i servi e le donzelle priva
Di sua presenza, e sceglie ermo ricetto,
E fra varj pensier dubbia s’aggira;
576Ma tosto cede la vergogna all’ira.
LXXIII.
Io n’andrò pur, dice ella, anzi che l’armi
Dell’Oriente il Re d’Egitto muova:
Ritentar ciascun’arte, e trasmutarmi
580In ogni forma insolita mi giova,
Trattar l’arco, e la spada, e serva farmi
De’ più potenti, e concitargli a prova;
Pur che le mie vendette io veggia in parte,
584Il rispetto e l’onor stiasi in disparte.