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168 | LA GERUSALEMME |
LXII.
Or che farà? dee su l’ignuda arena
Costei lasciar così tra viva e morta?
Cortesia lo ritien, pietà l’affrena,
492Dura necessità seco ne ’l porta.
Parte, e di lievi zefiri è ripiena
La chioma di colei che gli fa scorta.
Vola per l’alto mar l’aurata vela:
496Ei guarda il lido; e ’l lido ecco si cela.
LXIII.
Poi ch’ella in se tornò, deserto e muto,
Quanto mirar potè, d’intorno scorse.
Ito se n’è pur, disse, ed ha potuto
500Me quì lasciar della mia vita in forse?
Nè un momento indugiò: nè un breve ajuto
Nel caso estremo il traditor mi porse?
Ed io pur anco l’amo? e in questo lido
504Invendicata ancor piango, e m’assido?
LXIV.
Che fa più meco il pianto? altr’arme, altr’arte
Io non ho dunque? ahi seguirò pur l’empio:
Nè l’abisso, per lui riposta parte,
508Nè il Ciel sarà per lui sicuro tempio.
Già ’l giungo, e ’l prendo, e ’l cor gli svello, e sparte
Le membra appendo, ai dispietati esempio.
Mastro è di ferità: vuò superarlo
512Nell’arti sue; ma dove son? che parlo?