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CANTO DECIMOSESTO. | 165 |
LIII.
Poi le risponde: Armida, assai mi pesa
Di te; sì potess’io, come il farei,
Del mal concetto ardor l’anima accesa
420Sgombrarti; odj non son, nè sdegni i miei:
Nè vuò vendetta: nè rammento offesa:
Nè serva tu, nè tu nemica sei.
Errasti, è vero, e trapassasti i modi,
424Ora gli amori esercitando, or gli odj.
LIV.
Ma che? son colpe umane, e colpe usate.
Scuso la natia legge, il sesso, e gli anni.
Anch’io parte fallii: se a me pietate
428Negar non vuò, non fia ch’io te condanni.
Fra le care memorie ed onorate
Mi sarai nelle gioje, e negli affanni:
Sarò tuo cavalier, quanto concede
432La guerra d’Asia, e con l’onor la fede.
LV.
Deh! che del fallir nostro or quì sia il fine;
E di nostre vergogne omai ti spiaccia:
Ed in questo del mondo ermo confine
436La memoria di lor sepolta giaccia.
Sola, in Europa e nelle due vicine
Parti, fra l’opre mie questa si taccia.
Deh non voler che segni ignobil fregio
440Tua beltà, tuo valor, tuo sangue regio.