Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
CANTO DECIMOSESTO. | 161 |
XLI.
Dissegli Ubaldo allor: già non conviene
Che d’aspettar costei, Signor, ricusi.
Di beltà armata, e de’ suoi preghi or viene
324Dolcemente nel pianto amaro infusi.
Qual più forte di te, se le Sirene
Vedendo ed ascoltando a vincer t’usi?
Così ragion pacifica Reina
328De’ sensi fassi, e se medesma affina.
XLII.
Allor ristette il Cavaliero: ed ella
Sovraggiunse anelante e lagrimosa:
Dolente sì che nulla più, ma bella
332Altrettanto però quanto dogliosa.
Lui guarda, e in lui s’affisa, e non favella:
O che sdegna, o che pensa, o che non osa.
Ei lei non mira, e se pur mira, il guardo
336Furtivo volge e vergognoso e tardo.
XLIII.
Qual musico gentil, prima che chiara
Altamente la lingua al canto snodi;
All’armonia gli animi altrui prepara
340Con dolci ricercate in bassi modi:
Così costei, che nella doglia amara
Già tutte non oblia l’arti e le frodi;
Fa di sospir breve concento in prima,
344Per dispor l’alma in cui le voci imprima.