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CANTO DECIMOSESTO. 157

XXIX.


     Tal si fece il Garzon, quando repente
Dell’arme il lampo gli occhj suoi percosse.
Quel sì guerrier, quel sì feroce ardente
228Suo spirto a quel fulgor tutto si scosse:
Benchè tra gli agj morbidi languente,
E tra i piaceri ebbro e sopito ei fosse.
Intanto Ubaldo oltra ne viene, e ’l terso
232Adamantino scudo ha in lui converso.

XXX.


     Egli al lucido scudo il guardo gira;
Onde si specchia in lui qual siasi, e quanto,
Con delicato culto adorno, spira
236Tutto odori e lascivie il crine e ’l manto:
E ’l ferro, il ferro aver non ch’altro, mira
Dal troppo lusso effeminato a canto.
Guernito è sì che inutile ornamento
240Sembra, non militar fero instrumento.

XXXI.


     Qual’uom da cupo e grave sonno oppresso
Dopo vaneggiar lungo in se riviene;
Tal ei tornò nel rimirar se stesso:
244Ma se stesso mirar già non sostiene.
Giù cade il guardo: e timido e dimesso
Guardando, a terra la vergogna il tiene.
Si chiuderebbe e sotto il mare e dentro
248Il foco, per celarsi, e giù nel centro.