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148 | LA GERUSALEMME |
II.
Per l’entrata maggior (però che cento
L’ampio albergo n’avea) passar costoro.
Le porte quì d’effigiato argento
12Su i cardini stridean di lucid’oro.
Fermar nelle figure il guardo intento:
Chè vinta la materia è dal lavoro.
Manca il parlar: di vivo altro non chiedi:
16Nè manca questo ancor, se gli occhj credi.
III.
Mirasi quì, fra le Meonie ancelle,
Favoleggiar con la conocchia Alcide.
Se l’inferno espugnò, resse le stelle,
20Or torce il fuso; Amor se ’l guarda, e ride.
Mirasi Jole con la destra imbelle,
Per ischerno, trattar l’armi omicide:
E in dosso ha il cuojo del leon, che sembra
24Ruvido troppo a sì tenere membra.
IV.
D’incontro è un mare; e di canuto flutto
Vedi spumanti i suoi cerulei campi.
Vedi nel mezzo un doppio ordine instrutto
28Di navi, e d’arme: e uscir dall’arme i lampi.
D’oro fiammeggia l’onda: e par che tutto
D’incendio marzial Leucate avvampi.
Quinci Augusto i Romani, Antonio quindi
32Trae l’Oriente, Egizj, Arabi, ed Indi.