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CANTO DECIMOQUINTO. | 133 |
XXIX.
Dunque (a lei replicava il cavaliero)
Quel Dio che scese a illuminar le carte,
Vuole ogni raggio ricoprir del vero
228A questa che del mondo è sì gran parte?
No, rispose ella, anzi la fe di Piero
Fiavi introdotta, ed ogni civil’ arte.
Nè già sempre sarà che la via lunga
232Questi da’ vostri popoli disgiunga.
XXX.
Tempo verrà che fian d’Ercole i segni
Favola vile ai naviganti industri:
E i mar riposti, or senza nome, e i regni
236Ignoti, ancor tra voi saranno illustri.
Fia che il più ardito allor di tutti i legni
Quanto circonda il mar circondi e lustri.
E la terra misuri, immensa mole,
240Vittorioso ed emulo del Sole.
XXXI.
Un uom della Liguria avrà ardimento
All’incognito corso esporsi in prima,
Nè ’l minaccevol fremito del vento,
244Nè l’inospito mar, nè ’l dubbio clima,
Nè s’altro di periglio, o di spavento
Più grave e formidabile or si stima;
Faran che il generoso, entro ai divieti
248D’Abila angusti, l’alta mente accheti.