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86 | LA GERUSALEMME |
LVI.
Sembra il Ciel nell’aspetto atra fornace:
Nè cosa appar che gli occhj almen ristaure.
Nelle spelonche sue Zefiro tace:
444E in tutto è fermo il vaneggiar dell’aure.
Solo vi soffia (e par vampa di face)
Vento che move dalle arene Maure:
Che gravoso e spiacente, e seno e gote
448Co’ densi fiati ad or ad or percuote.
LVII.
Non ha poscia la notte ombre più liete,
Ma del caldo del Sol pajono impresse:
E di travi di foco, e di comete,
452E d’altri fregj ardenti il velo intesse.
Nè pur, misera terra, alla tua sete
Son dall’avara Luna almen concesse
Sue rugiadose stille; e l’erbe e i fiori
456Bramano indarno i lor vitali umori.
LVIII.
Dalle notti inquiete il dolce sonno
Bandito fugge: e i languidi mortali,
Lusingando, ritrarlo a se non ponno;
460Ma pur la sete è il pessimo de’ mali:
Perocchè di Giudea l’iniquo Donno,
Con veneni e con succhi, aspri e mortali
Più dell’inferna Stige e d’Acheronte,
464Torbido fece e livido ogni fonte.