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CANTO TERZO. 81

XLI.


     Così parlava; e già vedean là sotto
Come la strage più e più s’ingrosse,
Chè Tancredi e Rinaldo il cerchio han rotto,
324Benchè d’uomini denso e d’armi fosse.
E poi lo stuol ch’è da Dudon condotto
Vi giunse, ed aspramente anco il percosse.
Argante, Argante stesso, ad un grand’urto
328Di Rinaldo, abbattuto, appena è surto.

XLII.


     Nè sorgea forse; ma in quel punto stesso
Al figliuol di Bertoldo il destrier cade:
E restandogli sotto il piede oppresso,
332Convien ch’indi a ritrarlo alquanto bade.
Lo stuol Pagan frattanto in rotta messo,
Si ripara fuggendo alla Cittade.
Soli Argante e Clorinda, argine e sponda
336Sono al furor che lor da tergo inonda.

XLIII.


     Ultimi vanno, e l’impeto seguente
In lor s’arresta alquanto, e si reprime;
Sicchè potean men perigliosamente
340Quelle genti fuggir, che fuggian prime.
Segue Dudon nella vittoria ardente
I fuggitivi, e ’l fer Tigrane opprime
Con l’urto del cavallo; e con la spada
344Fa che scemo del capo a terra cada.