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76 | LA GERUSALEMME |
XXVI.
Così me’ si vedrà s’al tuo s’agguaglia
Il mio valore; ella accettò l’invito:
E come esser senz’elmo a lei non caglia,
204Gía baldanzosa, ed ei seguia smarrito.
Recata s’era in atto di battaglia
Già la Guerriera, e già l’avea ferito;
Quand’egli, or ferma, disse; e siano fatti
208Anzi la pugna della pugna i patti.
XXVII.
Fermossi, e lui di pauroso audace
Rendè in quel punto il disperato amore.
I patti sian, dicea, poichè tu pace
212Meco non vuoi, che tu mi tragga il core.
Il mio cor, non più mio, s’a te dispiace
Ch’egli più viva, volontario more.
È tuo gran tempo: e tempo è ben che trarlo
216Omai tu debba; e non debb’io vietarlo:
XXVIII.
Ecco, le braccia inchino, e t’appresento
Senza difesa il petto: or che nol fiedi?
Vuoi ch’agevoli l’opra? io son contento
220Trarmi l’usbergo or or, se nudo il chiedi.
Distinguea forse in più duro lamento
I suoi dolori il misero Tancredi;
Ma calca l’impedisce intempestiva
224De’ Pagani e de’ suoi che soprarriva.