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CANTO SECONDO. | 61 |
LXXXIII.
Chè non ambiziosi avari affetti
Ne spronaro all’impresa, e ne fur guida:
Sgombri il Padre del Ciel dai nostri petti
660Peste sì rea, s’in alcun pur s’annida;
Nè soffra che l’asperga, o che l’infetti
Di venen dolce, che piacendo ancida;
Ma la sua man, che i duri cor penétra
664Soavemente, e gli ammolisce e spetra;
LXXXIV.
Questa ha noi mossi, e questa ha noi condutti,
Tratti d’ogni periglio e d’ogni impaccio:
Questa fa piani i monti, e i fiumi asciutti,
668L’ardor toglie alla state, al verno il ghiaccio:
Placa del mare i tempestosi flutti:
Stringe e rallenta questa a’ venti il laccio:
Quindi son l’alte mura aperte ed arse,
672Quindi l’armate schiere uccise e sparse.
LXXXV.
Quindi l’ardir, quindi la speme nasce,
Non dalle frali nostre forze, e stanche,
Non dall’armata, e non da quante pasce
676Genti la Grecia, e non dall’armi Franche.
Pur ch’ella mai non ci abbandoni e lasce,
Poco dobbiam curar ch’altri ci manche.
Chi sa come difende, e come fere,
680Soccorso ai suoi periglj altro non chere.