Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
58 | LA GERUSALEMME |
LXXIV.
Or, quando pur estimi esser fatale,
Che vincer non ti possa il ferro mai;
Siati concesso: e siati a punto tale
588Il decreto del Ciel, qual tu tel fai.
Vinceratti la fame: a questo male
Che rifugio, per Dio, che schermo avrai?
Vibra contra costei la lancia, e stringi
592La spada, e la vittoria anco ti fingi.
LXXV.
Ogni campo d’intorno arso e distrutto
Ha la provida man degli abitanti;
E in chiuse mura, e in alte torri il frutto
596Riposto, al tuo venir più giorni avanti.
Tu ch’ardito sin quì ti sei condutto,
Onde speri nutrir cavalli e fanti?
Dirai: l’armata in mar cura ne prende.
600Da’ venti dunque il viver tuo dipende?
LXXVI.
Comanda forse tua fortuna ai venti,
E gli avvince a sua voglia, e gli dislega?
Il mar ch’ai preghi è sordo, ed ai lamenti,
604Te sol udendo, al tuo voler si piega?
O non potranno pur le nostre genti,
E le Perse e le Turche, unite in lega,
Così potente armata in un raccorre,
608Ch’a questi legni tuoi si possa opporre?