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44 | LA GERUSALEMME |
XXXII.
Pargli che vilipeso egli ne resti;
E che’n disprezzo suo sprezzin le pene.
Credasi, dice, ad ambo, e quella e questi
252Vinca, e la palma sia qual si conviene.
Indi accenna ai sergenti, i quai son presti
A legar il garzon di lor catene.
Sono ambo stretti al palo stesso, e volto
256È il tergo al tergo, e ’l volto ascoso al volto.
XXXIII.
Composto è lor d’intorno il rogo omai,
E già le fiamme il mantice v’incíta:
Quando il fanciullo in dolorosi lai
260Proruppe, e disse a lei ch’è seco unita:
Questo dunque è quel laccio, ond’io sperai
Teco accoppiarmi in compagnia di vita?
Questo è quel foco, ch’io credea che i cori
264Ne dovesse infiammar d’eguali ardori?
XXXIV.
Altre fiamme, altri nodi Amor promise:
Altri ce n’apparecchia iniqua sorte.
Troppo, ahi ben troppo, ella già noi divise!
268Ma duramente or ne congiunge in morte.
Piacemi almen, poichè in sì strane guise
Morir pur dei, del rogo esser consorte,
Se del letto non fui: duolmi il tuo fato,
272Il mio non già, poich’io ti moro a lato.