Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
320 | LA GERUSALEMME |
XLIV.
Ma che fia se più tarda? orsù concedo
Che tua speme prevenga, e sue promesse;
La vittoria però, però non vedo
348Liberate, o Signor, le mura oppresse.
Combatteremo, o Re, con quel Goffredo,
E con que’ Duci, e con le genti istesse
Che tante volte han già rotti e dispersi
352Gli Arabi, i Turchi, i Soriani, e i Persi.
XLV.
E quali sian tu ’l sai, chè lor cedesti
Sì spesso il campo, o valoroso Argante:
E sì spesso le spalle anco volgesti,
356Fidando assai nelle veloci piante:
E ’l sa Clorinda teco, ed io con questi:
Ch’un più dell’altro non convien si vante.
Nè incolpo alcuno io già, chè vi fu mostro
360Quanto potea maggiore il valor nostro.
XLVI.
E dirò pur, benchè costui di morte
Bieco minacci, e ’l vero udir si sdegni;
Veggio portar da inevitabil sorte
364Il nemico fatale a certi segni:
Nè gente potrà mai nè muro forte
Impedirlo così, ch’alfin non regni.
Ciò mi fa dir (sia testimonio il Cielo)
368Del Signor, della patria, amore e zelo.