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CANTO DECIMO. 319

XLI.


     Ma si conviene a te, cui fatto il corso
Delle cose e de’ tempi han sì prudente,
Impor colà de’ tuoi consiglj il morso,
324Dove costui se ne trascorre ardente:
Librar la speme del lontan soccorso
Col periglio vicino, anzi presente:
E con l’arme, e con l’impeto nemico
328I tuoi novi ripari, e ’l muro antico.

XLII.


     Noi (se lece a me dir quel ch’io ne sento)
Siamo in forte città di sito, e d’arte;
Ma di machine grande e violento
332Apparato si fa dall’altra parte.
Quel che sarà, non sò: spero, e pavento
I giudizj incertissimi di Marte:
E temo che s’a noi più fia ristretto
336L’assedio, alfin di cibo avrem difetto.

XLIII.


     Perocchè quegli armenti, e quelle biade
Ch’jeri tu ricettasti entro le mura,
Mentre nel campo a insanguinar le spade
340S’attendea solo (e fu somma ventura)
Picciol’ esca a gran fame, ampia cittade
Nutrir mal ponno, se l’assedio dura:
E forza è pur che duri, ancorchè vegna
344L’oste d’Egitto il dì ch’ella disegna.