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CANTO DECIMO. | 313 |
XXIII.
Ma insin dal fondo suo l’imperio ingiusto
Svelto sarà nell’ultime contese;
E le afflitte reliquie entro un angusto
180Giro sospinte, e sol dal mar difese.
Questi fia del tuo sangue; e quì il vetusto
Mago si tacque: e quegli a dir riprese:
O lui felice eletto a tanta lode!
184E parte ne l’invidia, e parte gode.
XXIV.
Soggiunse poi: girisi pur Fortuna
O buona o rea, come è là su prescritto:
Chè non ha sovra me ragione alcuna,
188E non mi vedrà mai se non invitto.
Prima dal corso distornar la Luna
E le stelle potrà, che dal diritto
Torcere un sol mio passo: e in questo dire
192Sfavillò tutto di focoso ardire.
XXV.
Così gir ragionando, insin che furo
Là ’ve presso vedean le tende alzarse:
Che spettacolo fu crudele e duro!
196In quante forme ivi la morte apparse!
Si fè negli occhj allor torbido e scuro,
E di doglia il Soldano il volto sparse.
Ahi con quanto dispregio ivi le degne
200Mirò giacer sue già temute insegne!