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CANTO DECIMO. | 311 |
XVII.
Stupido il cavalier le ciglia inarca,
Ed increspa la fronte, e mira fiso
La nube, e ’l carro ch’ogni intoppo varca
132Veloce sì, che di volar gli è avviso.
L’altro, che di stupor l’anima carca
Gli scorge all’atto dell’immobil viso,
Gli rompe quel silenzio, e lui rappella;
136Ond’ei si scuote, e poi così favella:
XVIII.
O chiunque tu sia che, fuor d’ogni uso,
Pieghi natura ad opre altere e strane:
E spiando i secreti, entro al più chiuso
140Spazi a tua voglia delle menti umane;
S’arrivi col saper, ch’è d’alto infuso,
Alle cose remote anco e lontane;
Deh dimmi, qual riposo o qual ruina
144Ai gran moti dell’Asia il Ciel destina?
XIX.
Ma pria dimmi il tuo nome, e con qual arte
Far cose tu sì inusitate soglia:
Chè se pria lo stupor da me non parte,
148Com’esser può ch’io gli altri detti accoglia?
Sorrise il vecchio, e disse: in una parte
Mi sarà leve l’adempir tua voglia.
Son detto Ismeno, e i Siri appellan Mago
152Me, che dell’arti incognite son vago.