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300 | LA GERUSALEMME |
LXXXVI.
E in atto sì gentil languir tremanti
Gli occhj, e cader sul tergo il collo mira:
Così vago è il pallore, e da’ sembianti
684Di morte una pietà sì dolce spira;
Ch’ammollì il cor, che fu dur marmo innanti
E ’l pianto scaturì di mezzo all’ira.
Tu piangi, Soliman! tu che distrutto
688Mirasti il regno tuo col ciglio asciutto?
LXXXVII.
Ma come ei vede il ferro ostil che molle
Fuma del sangue ancor del giovinetto;
La pietà cede, e l’ira avvampa e bolle,
692E le lagrime sue stagna nel petto.
Corre sovra Argillano, e ’l ferro estolle,
Parte lo scudo opposto, indi l’elmetto,
Indi il capo e la gola; e dello sdegno
696Di Soliman ben quel gran colpo è degno.
LXXXVIII.
Nè di ciò ben contento, al corpo morto,
Smontato del destriero, anco fa guerra;
Quasi mastin che ’l sasso, ond’a lui porto
700Fu duro colpo, infellonito afferra.
Oh d’immenso dolor vano conforto,
Incrudelir nell’insensibil terra!
Ma frattanto de’ Franchi il Capitano
704Non spendea l’ire, e le percosse invano.