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298 LA GERUSALEMME

LXXX.


     Non tu, chiunque sia, di questa morte
Vincitor lieto avrai gran tempo il vanto.
Pari destin t’aspetta, e da più forte
636Destra, a giacer mi sarai steso a canto.
Rise egli amaramente, e, di mia sorte
Curi il Ciel, disse; or tu quì mori intanto
D’augei pasto, e di cani: indi lui preme
640Col piede, e ne trae l’alma, e ’l ferro insieme.

LXXXI.


     Un paggio del Soldan misto era in quella
Turba di sagittarj e lanciatori,
A cui non anco la stagion novella
644Il bel mento spargea de’ primi fiori.
Pajon perle e rugiade, in su la bella
Guancia irrigando, i tepidi sudori:
Giunge grazia la polve al crine incolto:
648E sdegnoso rigor dolce è in quel volto.

LXXXII.


     Sotto ha un destrier che, di candore, agguaglia
Pur or nell’Apennin caduta neve:
Turbo o fiamma non è, che roti o saglia
652Rapida sì, come è quel pronto e leve.
Vibra ei, presa nel mezzo, una zagaglia:
La spada al fianco tien ritorta e breve:
E con barbara pompa in un lavoro
656Di porpora risplende intesta e d’oro.