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296 | LA GERUSALEMME |
LXXIV.
L’Aurora intanto il bel purpureo volto
Già dimostrava dal sovran balcone:
E in quei tumulti già s’era disciolto
588Il feroce Argillan di sua prigione:
E d’arme incerte il frettoloso avvolto,
Quali il caso gli offerse, o triste o buone:
Già sen venia per emendar gli errori
592Nuovi, con nuovi merti, e nuovi onori.
LXXV.
Come destrier che dalle regie stalle,
Ove all’uso dell’arme si riserba,
Fugge, e libero alfin, per largo calle
596Va tra gli armenti, o al fiume usato, o all’erba:
Scherzan sul collo i crini, e sulle spalle
Si scuote la cervice alta e superba:
Suonano i piè nel corso, e par ch’avvampi,
600Di sonori nitriti empiendo i campi.
LXXVI.
Tal ne viene Argillano: arde il feroce
Sguardo, ha la fronte intrepida e sublime:
Leve è ne’ salti, e sovra i piè veloce,
604Sicchè d’orme la polve appena imprime.
E giunto fra’ nemici alza la voce,
Pur com’uom che tutto osi, e nulla stime:
O vil feccia del mondo, Arabi inetti,
608Ond’è ch’or tanto ardire in voi s’alletti?