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290 LA GERUSALEMME

LVI.


     Sedea colà, dond’egli e buono e giusto
Dà legge al tutto, e ’l tutto orna e produce
Sovra i bassi confin del mondo angusto,
444Ove senso o ragion non si conduce.
E della eternità nel trono augusto
Risplendea con tre lumi in una luce.
Ha sotto i piedi il Fato e la Natura,
448Ministri umíli, e ’l moto, e chi ’l misura;

LVII.


     E ’l loco, e quella che qual fumo o polve
La gloria di qua giuso e l’oro e i regni,
Come piace là su, disperde e volve:
452Nè, Diva, cura i nostri umani sdegni.
Quivi ei così nel suo splendor s’involve,
Che v’abbaglian la vista anco i più degni;
D’intorno ha innumerabili immortali
456Disegualmente in lor letizia eguali.

LVIII.


     Al gran concento de’ beati carmi
Lieta risuona la celeste reggia.
Chiama egli a se Michele, il qual nell’armi
460Di lucido diamante arde e lampeggia:
E dice a lui: non vedi or come s’armi
Contra la mia fedel diletta greggia
L’empia schiera d’Averno, e insin dal fondo
464Delle sue morti a turbar sorga il mondo?