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288 | LA GERUSALEMME |
L.
Furor contra virtute or quì combatte
D’Asia, in un picciol cerchio, il grande impero.
Chi può dir come gravi e come ratte
396Le spade son? quanto il duello e fero?
Passo quì cose orribili che fatte
Furon, ma le coprì quell’aer nero:
D’un chiarissimo Sol degne, e che tutti
400Siano i mortali a riguardar ridutti.
LI.
Il popol di Gesù dietro a tal guida,
Audace or divenuto, oltre si spinge:
E de’ suoi meglio armati all’omicida
404Soldano intorno un denso stuol si stringe.
Nè la gente fedel più che l’infida,
Nè più questa che quella il campo tinge;
Ma gli uni e gli altri, e vincitori e vinti,
408Egualmente dan morte, e sono estinti.
LII.
Come pari d’ardir, con forza pare
Quinci Austro in guerra vien, quindi Aquilone:
Non ei fra lor, non cede il Cielo, o ’l mare;
412Ma nube a nube, e flutto a flutto oppone.
Così nè ceder qua, nè là piegare
Si vede l’ostinata aspra tenzone.
S’affronta insieme orribilmente, urtando
416Scudo a scudo, elmo ad elmo, e brando a brando.