Pagina:Gerusalemme liberata I.djvu/314

284 LA GERUSALEMME

XXXVIII.


     A quel grido, a quel colpo, in lui converse
Il barbaro crudel la spada e l’ira.
Gli aprì l’usbergo, e pria lo scudo aperse,
300Cui sette volte un duro cuojo aggira:
E ’l ferro nelle viscere gl’immerse.
Il misero Latin singhiozza e spira,
E con vomito alterno or gli trabocca
304Il sangue per la piaga, or per la bocca.

XXXIX.


     Come nell’Apennin robusta pianta,
Che sprezzò d’Euro e d’Aquilon la guerra,
Se turbo inusitato alfin la schianta,
308Gli alberi intorno ruinando atterra;
Così cade egli, e la sua furia è tanta,
Che più d’un seco tragge, a cui s’afferra.
E ben d’uom sì feroce è degno fine,
312Che faccia ancor, morendo, alte ruine.

XL.


     Mentre il Soldan sfogando l’odio interno
Pasce un lungo digiun ne’ corpi umani;
Gli Arabi inanimiti aspro governo
316Anch’essi fanno de’ guerrier Cristiani.
L’Inglese Enrico, e ’l Bavaro Oliferno
Muojono, o fer Dragutte, alle tue mani.
A Gilberto, a Filippo, Ariadeno
320Toglie la vita, i quai nacquer sul Reno.