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282 | LA GERUSALEMME |
XXXII.
Aramante al fratel, che giù ruina,
Porge pietoso il braccio e lo sostiene:
Vana e folle pietà, ch’alla ruina
252Altrui la sua medesma a giunger viene:
Chè ’l Pagan su quel braccio il ferro inchina,
Ed atterra con lui chi a lui s’attiene.
Caggiono entrambi, e l’un sull’altro langue,
256Mescolando i sospiri ultimi, e ’l sangue.
XXXIII.
Quinci egli, di Sabin l’asta recisa,
Onde il fanciullo di lontan l’infesta,
Gli urta il cavallo addosso, e ’l coglie in guisa,
260Che giù tremante il batte: indi il calpesta.
Dal giovinetto corpo uscì divisa
Con gran contrasto l’alma, e lasciò mesta
L’aure soavi della vita, e i giorni
264Della tenera età lieti ed adorni.
XXXIV.
Rimanean vivi ancor Pico, e Laurente,
Onde arricchì un sol parto il genitore:
Similissima coppia, e che sovente
268Esser solea cagion di dolce errore.
Ma se lei fè Natura indifferente,
Differente or la fa l’ostil furore.
Dura distinzion, ch’all’un divide
272Dal busto il collo, all’altro il petto incide.