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CANTO NONO. 279

XXIII.


     Non cala il ferro mai ch’appien non colga:
Nè coglie appien che piaga anco non faccia:
Nè piaga fa che l’alma altrui non tolga:
180E più direi; ma il ver di falso ha faccia.
E par ch’egli o s’infinga, o non sen dolga,
O non senta il ferir dell’altrui braccia;
Sebben l’elmo percosso, in suon di squilla
184Rimbomba, e orribilmente arde e sfavilla.

XXIV.


     Or quando ei solo ha quasi in fuga volto
Quel primo stuol delle Francesche genti;
Giungono, in guisa d’un diluvio accolto
188Di mille rivi, gli Arabi correnti.
Fuggono i Franchi allora a freno sciolto,
E misto il vincitor va tra’ fuggenti:
E con lor entra ne’ ripari, e ’l tutto
192Di ruine e d’orror s’empie, e di lutto.

XXV.


     Porta il Soldan su l’elmo orrido e grande
Serpe che si dilunga, e ’l collo snoda:
Su le zampe s’innalza, e l’ali spande,
196E piega in arco la forcuta coda:
Par che tre lingue vibri, e che fuor mande
Livida spuma, e che ’l suo fischio s’oda:
Ed or ch’arde la pugna, anch’ei s’infiamma
200Nel moto, e fumo versa insieme e fiamma.