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268 LA GERUSALEMME

LXXX.


     Ah non sia ver che tanta indegnitate
La terra, piena del mio nome, intenda:
Me questo scettro, me delle onorate
636Opre mie la memoria, e ’l ver difenda:
E per or la giustizia alla pietate
Ceda, nè sovra i rei la pena scenda.
Agli altri merti or questo error perdono,
640Ed al vostro Rinaldo anco vi dono.

LXXXI.


     Col sangue suo lavi il comun difetto
Solo Argillan, di tante colpe autore:
Che mosso a leggierissimo sospetto,
644Sospinti gli altri ha nel medesmo errore.
Lampi e folgori ardean nel regio aspetto,
Mentre ei parlò, di maestà d’orrore;
Talchè Argillano attonito e conquiso
648Teme (chi ’l crederia?) l’ira d’un viso.

LXXXII.


     E ’l volgo, ch’anzi irriverente, audace
Tutto fremer s’udia d’orgoglj e d’onte;
E ch’ebbe al ferro, all’aste ed alla face
652Che ’l furor ministrò, le man sì pronte;
Non osa (e i detti alteri ascolta, e tace)
Fra timor e vergogna alzar la fronte:
E sostien ch’Argillano, ancorchè cinto
656Dell’arme lor, sia da’ ministri avvinto.