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CANTO OTTAVO. 265

LXXI.


     Io io vorrei, se ’l vostro alto valore,
Quanto egli può, tanto voler osasse,
Ch’oggi per questa man nell’empio core,
564Nido di tradigion, la pena entrasse.
Così parla agitato, e nel furore
E nell’impeto suo ciascuno ei trasse.
Arme arme freme il forsennato, e insieme
568La gioventù superba arme arme freme.

LXXII.


     Rota Aletto fra lor la destra armata,
E col foco il velen ne’ petti mesce.
Lo sdegno, la follia, la scellerata
572Sete del sangue ogn’or più infuria, e cresce;
E serpe quella peste, e si dilata,
E degli alberghi Italici fuor n’esce:
E passa fra gli Elvezj, e vi s’apprende,
576E di là poscia anco agl’Inglesi tende.

LXXIII.


     Nè sol l’estrane genti avvien che muova
Il duro caso, e ’l gran pubblico danno:
Ma le antiche cagioni all’ira nuova
580Materia insieme, e nutrimento danno.
Ogni sopito sdegno or si rinnuova:
Chiamano il popol Franco empio e tiranno:
E in superbe minacce esce diffuso
584L’odio, che non può starne omai più chiuso.