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262 LA GERUSALEMME

LXII.


     Io sarò teco ombra, di ferro e d’ira
Ministra, e t’armerò la destra e ’l seno.
Così gli parla; e nel parlar gli spira
492Spirito novo di furor ripieno.
Si rompe il sonno: e sbigottito ei gira
Gli occhj gonfj di rabbia e di veleno:
Ed armato ch’egli è, con importuna
496Fretta, i guerrier d’Italia insieme aduna.

LXIII.


     Gli aduna là dove sospese stanno
L’arme del buon Rinaldo, e con superba
Voce, il furore e ’l conceputo affanno
500In tai detti divulga, e disacerba:
Dunque un popolo barbaro e tiranno
Che non prezza ragion, che fe non serba,
Che non fu mai di sangue e d’or satollo,
504Ne terrà ’l freno in bocca, e ’l giogo al collo?

LXIV.


     Ciò che sofferto abbiam d’aspro e d’indegno
Sette anni omai sotto sì iniqua soma,
È tal, ch’arder di scorno, arder di sdegno
508Potrà da quì a mill’anni Italia e Roma.
Taccio, che fu dall’arme e dall’ingegno
Del buon Tancredi la Cilicia doma,
E ch’ora il Franco a tradigion la gode:
512E i premj usurpa del valor la frode.