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260 LA GERUSALEMME

LVI.


     Ma se quel nobil tronco è quel ch’io credo,
Altra tomba, altra pompa egli ben merta.
Così detto, Aliprando ebbe congedo,
444Perocchè cosa non avea più certa.
Rimase grave, e sospirò Goffredo;
Pur nel tristo pensier non si raccerta:
E con più chiari segni il monco busto
448Conoscer vuole, e l’omicida ingiusto.

LVII.


     Sorgea la notte intanto, e sotto l’ali
Ricopriva del Cielo i campi immensi:
E ’l sonno ozio dell’alme, oblio de’ mali,
452Lusingando sopía le cure, e i sensi;
Tu sol punto, Argillan, d’acuti strali
D’aspro dolor, volgi gran cose, e pensi:
Nè l’agitato sen, nè gli occhj ponno
456La quiete raccorre, o ’l molle sonno.

LVIII.


     Costui pronto di man, di lingua ardito,
Impetuoso, e fervido d’ingegno,
Nacque in riva del Tronto, e fu nutrito,
460Nelle risse civil, d’odio e di sdegno.
Poscia, in esiglio spinto, i colli e ’l lito
Empì di sangue, e depredò quel regno,
Sinchè nell’Asia a guerreggiar sen venne,
464E per fama miglior chiaro divenne.