Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
CANTO OTTAVO. | 257 |
XLVII.
Or quando del garzon la rimembranza
Avea gli animi tutti inteneriti;
Ecco molti tornar che, per usanza,
372Eran d’intorno a depredare usciti.
Conducean questi seco in abbondanza
E mandre di lanuti, e buoi rapiti,
E biade ancor, benchè non molte, e strame
376Che pasca de’ corsier l’avida fame.
XLVIII.
E questi di sciagura aspra e nojosa
Segno portar, che in apparenza è certo:
Rotta del buon Rinaldo e sanguinosa
380La sopravvesta, ed ogni arnese aperto.
Tosto si sparse (e chi potria tal cosa
Tener celata?) un romor vario, e incerto.
Corre il volgo dolente alle novelle
384Del guerriero, e dell’arme, e vuol vedelle.
XLIX.
Vede, e conosce ben l’immensa mole
Del grande usbergo, e ’l folgorar del lume,
E l’armi tutte, ove è l’augel ch’al Sole
388Prova i suoi figlj e mal crede alle piume:
Chè di vederle già primiere o sole,
Nelle imprese più grandi, ebbe in costume:
Ed or, non senza alta pietate ed ira,
392Rotte e sanguigne ivi giacer le mira.