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CANTO OTTAVO. 251

XXIX.


     Stupido li riguardo, e non ben crede
L’anima sbigottita il certo e il vero:
Onde l’un d’essi a me: di poca fede,
228Che dubbi? o che vaneggia il tuo pensiero?
Verace corpo è quel che in noi si vede:
Servi siam di Gesù, che ’l lusinghiero
Mondo, e ’l suo falso dolce abbiam fuggito,
232E quì viviamo in loco aspro e romito.

XXX.


     Me per ministro a tua salute eletto
Ha quel Signor che in ogni parte regna:
Chè per ignobil mezzo oprar effetto
236Maraviglioso ed alto ei non isdegna.
Nè men vorrà che sì resti negletto
Quel corpo in cui già visse alma sì degna:
Lo qual con essa ancor, lucido e leve
240E immortal fatto, riunir si deve.

XXXI.


     Dico il corpo di Sveno, a cui fia data
Tomba a tanto valor conveniente,
La quale a dito mostra ed onorata
244Ancor sarà dalla futura gente.
Ma leva omai gli occhj alle stelle, e guata
Là splender quella come un Sol lucente:
Questa co’ vivi raggj or ti conduce
248Là dove è il corpo del tuo nobil Duce.