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248 LA GERUSALEMME

XX.


     Così pugnato fu, finchè l’albóre
Rosseggiando nel Ciel già n’apparia.
Ma poi che scosso fu il notturno orrore
156Che l’orror delle morti in se copria,
La desiata luce a noi terrore
Con vista accrebbe dolorosa e ria;
Chè pien d’estinti il campo, e quasi tutta
160Nostra gente vedemmo omai distrutta.

XXI.


     Duomila fummo, e non siam cento; or quando
Tanto sangue egli mira e tante morti,
Non so se ’l cor feroce al miserando
164Spettacolo si turbi, e si sconforti;
Ma già no ’l mostra; anzi la voce alzando,
Seguiam, ne grida, que’ compagni forti
Ch’al Ciel, lunge dai laghi Averni e Stigj,
168N’han segnati col sangue alti vestigj.

XXII.


     Disse; e lieto, cred′io, della vicina
Morte, così nel cor come al sembiante,
Incontro alla barbarica ruina
172Portonne il petto intrepido e costante.
Tempra non sosterrebbe, ancor che fina
Fosse, e d’acciajo nò, ma di diamante,
I feri colpi ond′egli il campo allaga:176E fatto è il corpo suo solo una piaga.