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236 LA GERUSALEMME

CX.


     Dall’impeto medesmo in fuga è volto
Il destro corno: e non v’è alcun che faccia,
Fuor che Argante, difesa; a freno sciolto
876Così il timor precipiti gli caccia.
Egli sol ferma il passo, e mostra il volto:
Nè chi con mani cento, e cento braccia
Cinquanta scudi insieme ed altrettante
880Spade movesse, or più faria d’Argante.

CXI.


     Ei gli stocchi e le mazze, egli dell’aste
E de’ corsieri l’impeto sostenta:
E solo par che incontra tutti baste:
884Ed ora a questo, ed ora a quel s’avventa.
Peste ha le membra, e rotte l’arme e guaste,
E sudor versa e sangue, e par nol senta.
Ma così l’urta il popol denso e ’l preme,
888Ch’alfin lo svolge, e seco il porta insieme.

CXII.


     Volge il tergo alla forza ed al furore
Di quel diluvio che ’l rapisce, e ’l tira.
Ma non già d’uom che fugga ha i passi, e ’l core;
892S’all’opre della mano il cor si mira.
Serbano ancora gli occhj il lor terrore,
E le minacce della solita ira:
E cerca ritener con ogni prova
896La fuggitiva turba, e nulla giova.