Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
CANTO SETTIMO. | 233 |
CI.
Quì fà prova dell’arte, e le saette
Tingi nel sangue del ladron Francese:
Ch’oltra il perpetuo onor, vuò che n’aspette
804Premio al gran fatto egual dal Re cortese.
Così parlò, nè quegli in dubbio stette,
Tosto che ’l suon delle promesse intese.
Dalla grave faretra un quadrel prende,
808E su l’arco l’adatta, e l’arco tende.
CII.
Sibila il teso nervo, e fuori spinto
Vola il pennuto stral per l’aria, e stride:
Ed a percuoter va dove del cinto
812Si congiungon le fibbie, e le divide;
Passa l’usbergo, e in sangue appena tinto
Quivi si ferma, e sol la pelle incide;
Chè ’l celeste guerrier soffrir non volse
816Ch’oltra passasse, e forza al colpo tolse.
CIII.
Dell’usbergo lo stral si tragge il Conte,
Ed ispicciarne fuori il sangue vede:
E con parlar pien di minacce ed onte
820Rimprovera al Pagan la rotta fede.
Il Capitan, che non torcea la fronte
Dall’amato Raimondo, allor s’avvede
Che violato è il patto: e perchè grave
824Stima la piaga, ne sospira e pave.