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CANTO SETTIMO. 231

XCV.


     Prendi, volea già dirgli, un’altra spada:
Quando novo pensier nacque nel core:
Ch’alto scorno è de’ suoi, dove egli cada,
756Chè di pubblica causa è difensore.
Così nè indegna a lui vittoria aggrada,
Nè in dubbio vuol porre il comune onore.
Mentre egli dubbio stassi, Argante lancia
760Il pomo e l’else alla nemica guancia.

XCVI.


     E in quel tempo medesmo il destrier punge,
E per venire a lotta oltra si caccia.
La percossa lanciata all’elmo giunge,
764Sicchè ne pesta al Tolosan la faccia.
Ma però nulla sbigottisce, e lunge
Ratto si svia dalle robuste braccia;
Ed impiaga la man, ch’a dar di piglio
768Venia più fera che ferino artiglio.

XCVII.


     Poscia gira da questa a quella parte,
E rigirasi a questa, indi da quella:
E sempre, e dove riede, e donde parte
772Fere il Pagan d’aspra percossa e fella.
Quanto avea di vigor, quanto avea d’arte,
Quanto può sdegno antico, ira novella,
A danno del Circasso or tutto aduna;
776E seco il Ciel congiura, e la Fortuna.