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230 | LA GERUSALEMME |
XCII.
Alfin tra mille colpi il Saracino
Cala un fendente, e ’l Conte è così presso,
Che forse il velocissimo Aquilino
732Non sottraggeasi, e rimaneane oppresso;
Ma l’ajuto invisibile vicino
Non mancò a lui di quel superno messo,
Che stese il braccio, e tolse il ferro crudo
736Sovra il diamante del celeste scudo.
XCIII.
Frangesi il ferro allor (chè non resiste
Di fucina mortal tempra terrena
Ad armi incorruttibili ed immiste
740D’eterno fabbro) e cade in su l’arena.
Il Circasso, ch’andarne a terra ha viste
Minutissime parti, il crede appena.
Stupisce poi, scorta la mano inerme,
744Ch’arme il campion nemico abbia sì ferme.
XCIV.
E ben rotta la spada aver si crede
Su l’altro scudo, onde è colui difeso:
E ’l buon Raimondo ha la medesma fede,
748Chè non sa già chi sia dal Ciel disceso.
Ma, perocch’egli disarmata vede
La man nemica, si riman sospeso;
Chè stima ignobil palma, e vili spoglie
752Quelle ch’altrui, con tal vantaggio, uom toglie.