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CANTO SETTIMO. | 225 |
LXXVII.
E ben questo Aquilin nato diresti
Di quale aura del Ciel più lieve spiri;
O se veloce sì, ch’orma non resti,
612Stendere il corso per l’arena il miri;
O se ’l vedi addoppiar leggieri e presti,
A destra ed a sinistra, angusti giri.
Sovra tal corridore il Conte assiso
616Move all’assalto, e volge al Cielo il viso.
LXXVIII.
Signor, tu che drizzasti incontra l’empio
Golía l’arme inesperte in Terebinto:
Sicch’ei ne fu, che d’Israel fea scempio,
620Al primo sasso d’un garzone estinto;
Tu fà ch’or giaccia (e fia pari l’esempio)
Questo fellon da me percosso, e vinto:
E debil vecchio or la superbia opprima,
624Come debil fanciul l’oppresse in prima.
LXXIX.
Così pregava il Conte: e le preghiere,
Mosse dalla speranza in Dio sicura,
S’alzar volando alle celesti spere,
628Come va foco al Ciel per sua natura.
Le accolse il Padre eterno, e fra le schiere
Dell’esercito suo tolse alla cura
Un che ’l difenda: e sano, e vincitore
632Dalle man di quell’empio il tragga fuore.