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CANTO SETTIMO. | 223 |
LXXI.
Fu il nome suo con lieto grido accolto:
Nè di biasmar la sorte alcun ardisce.
Ei di fresco vigor la fronte e ’l volto
564Riempie: e così allor ringiovenisce,
Qual serpe fier, che in nuove spoglie avvolto,
D’oro fiammeggi, e incontra il Sol si lisce.
Ma più d’ogn’altro il Capitan gli applaude,
568E gli annunzia vittoria, e gli dà laude.
LXXII.
E la spada togliendosi dal fianco,
E porgendola a lui, così dicea:
Questa è la spada, che in battaglia il Franco
572Rubello di Sassonia oprar solea;
Ch’io già gli tolsi a forza, e gli tolsi anco
La vita allor di mille colpe rea.
Questa, che meco ogn’or fu vincitrice,
576Prendi; e sia così teco ora felice.
LXXIII.
Di loro indugio intanto è quell’altero
Impaziente, e li minaccia, e grida:
O gente invitta, o popolo guerriero
580D’Europa, un uomo solo è che vi sfida.
Venga Tancredi omai che par sì fero,
Se nella sua virtù tanto si fida;
O vuol, giacendo in piume, aspettar forse
584La notte ch’altre volte a lui soccorse?