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CANTO SETTIMO. 221

LXV.


     Se fosse in me quella virtù, quel sangue,
Di questo altier l’orgoglio avrei già spento.
Ma qualunque io mi sia, non però langue
516Il core in me, nè vecchio anco pavento.
E s’io pur rimarrò nel campo esangue,
Nè il Pagan di vittoria andrà contento:
Armarmi io vuò; sia questo il dì ch’illustri,
520Con novo onor, tutti i miei scorsi lustri.

LXVI.


     Così parla il gran vecchio; e sproni acuti
Son le parole onde virtù si desta.
Quei che fur prima timorosi e muti,
524Hanno la lingua or baldanzosa e presta.
Nè sol non v’è che la tenzon rifiuti;
Ma ella omai da molti a gara è chiesta.
Baldovin la domanda, e con Ruggiero
528Guelfo, i due Guidi, e Stefano, e Gerniero;

LXVII.


     E Pirro, quel che fè il lodato inganno,
Dando Antiochia presa a Boemondo;
Ed a prova richiesta anco ne fanno
532Eberardo, Ridolfo, e ’l prò Rosmondo:
Un di Scozia, un d’Irlanda, ed un Britanno,
Terre che parte il mar dal nostro mondo:
E ne son parimente anco bramosi
536Gildippe ed Odoardo amanti e sposi.