Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
CANTO SETTIMO. | 217 |
LIII.
Tal nell’arme ei fiammeggia, e bieche e torte
Volge le luci ebre di sangue e d’ira.
Spirano gli atti feri orror di morte,
420E minacce di morte il volto spira.
Alma non è così sicura e forte
Che non paventi, ove un sol guardo gira.
Nuda ha la spada, e la solleva, e scuote
424Gridando, e l’aria, e l’ombre invan percuote.
LIV.
Ben tosto, dice, il predator Cristiano,
Ch’audace è sì ch’a me vuole agguagliarsi,
Caderà vinto e sanguinoso al piano,
428Bruttando nella polve i crini sparsi;
E vedrà vivo ancor da questa mano,
Ad onta del suo Dio, l’arme spogliarsi:
Nè, morendo, impetrar potrà co’ preghi
432Che in pasto a’ cani le sue membra i’ neghi.
LV.
Non altramente il tauro, ove l’irriti
Geloso amor con stimoli pungenti,
Orribilmente mugge, e co’ muggiti
436Gli spirti in se risveglia, e l’ire ardenti,
E ’l corno aguzza ai tronchi; e par ch’inviti
Con vani colpi alla battaglia i venti:
Sparge col piè l’arena, e ’l suo rivale
440Da lunge sfida a guerra aspra e mortale.