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210 LA GERUSALEMME

XXXII.


     O tu, che (siasi tua fortuna, o voglia)
Al paese fatal d’Armida arrive,
Pensi indarno al fuggire: or l’arme spoglia,
252E porgi ai laccj suoi le man cattive.
Entra pur dentro alla guardata soglia
Con queste leggi ch’ella altrui prescrive:
Nè più sperar di riveder il cielo
256Per volger d’anni, o per cangiar di pelo,

XXXIII.


     Se non giuri d’andar con gli altri sui
Contra ciascun che da Gesù s’appella.
S’affisa a quel parlar Tancredi in lui,
260E riconosce l’arme, e la favella.
Rambaldo di Guascogna era costui,
Che partì con Armida, e sol per ella
Pagan si fece, e difensor divenne
264Di quell’usanza rea ch’ivi si tenne.

XXXIV.


     Di santo sdegno il pio guerrier si tinse
Nel volto, e gli rispose: empio fellone,
Quel Tancredi son io che ’l ferro cinse
268Per Cristo sempre, e fui di lui campione:
E in sua virtute i suoi rubelli vinse,
Come vuò che tu veggia al paragone;
Chè dall’ira del Ciel ministra eletta
272È questa destra a far di te vendetta.